Se il popolo non sa che esiste altro oltre al calcio, vivrà di solo calcio.
E, da abili manipolatori, gli editori italiani sanno quanto è importante l’uso delle parole giuste al posto giusto per far credere quello che non è. Per esempio, basta chiamare un programma “Studio Sport” o “La Domenica Sportiva” stando poi ben attenti a parlare solo di calcio, ed ecco che l’italiano meno-che-medio sviluppa il concetto sport=calcio e, ciarlando del tal rigore o del tal fuorigioco, si autodefinisce sportivo.
Senza tralasciare le colpe dell’ottusa mentalità italiana dalla scarsissima cultura sportiva, finché nel belpaese calcio, politica, economia e media saranno indissolubilmente legate o, addirittura, saranno in mano alla stessa persona, non se ne uscirà mai.
Il trucco sta nel non dare alternative. Anche se piccole, stupide o poco credibili, non devono esserci.
Il boom del wrestling intorno al 2003-2004 ha suscitato le preoccupatissime reazioni dell’allora Sindaco di Roma e del C.T. della Nazionale (di calcio, ma è Italia è sottinteso, automatico - non serve specificare): “Mi ha molto colpito il racconto del sindaco Veltroni, dopo una visita alle scuole romane. Ci ha detto che i bambini, ormai, hanno le figurine dei lottatori di wrestling appiccicate al banco, non più quelle dei calciatori ... Intanto i bambini si sono appassionati anche al computer, ai videogiochi, al wrestling: magari vanno in palestra e provano ad imitare i loro nuovi idoli”. Come contrastare tale immane pericolo nel rispetto di una sana e leale concorrenza? Chiunque avrebbe detto che la decisione più ovvia sarebbe stata quella di studiare come migliorare la qualità del prodotto-calcio, rendendolo più interessante e appetibile. Invece, sorpresa!, un paio di stagioni dopo, con una scusa credibile come Totti laureando in Lettere, il wrestling è sparito dalle TV in chiaro; la domanda di chi ancora se lo ricorda non è “Perchè non lo trasmettono più?” ma “Perchè non lo FANNO più?”. Il wrestling, nelle loro testoline, non avendo spazi televisivi, ha cessato di esistere. Ciò che non è trasmesso, non esiste.
Cari bambini, potete tornare ad appassionarvi al calcio, anche se è corrotto fino al midollo, perché tanto avrete solo quello.
Ci si salva grazie a qualche televisioncina minore. SportItalia (forse troppo vicina a distrarre seriamente gli italiani, è immediatamente passata solo sul digitale terrestre), che trasmette NBA, pallavolo e speciali su altri sport e manifestazioni, e La7 con il rugby.
Già me li vedo i dirigenti di La7 qualche anno fa: “Signori, abbiamo 10 euro. Che diritti compriamo con questi soldi?” “Ci sarebbe il 6 Nazioni di rugby...” “Il Sei cosa? Vabbé... proviamo”. Ed ecco il risultato: gli italiani si innamorano del rugby. Si sente la gente parlarne in giro, senza capirci niente, ma è già qualcosa. Gli è stata data un’alternativa.
La situazione è però talmente degenerata, il lavaggio del cervello così protratto nel tempo e sfibrante nei modi che, allo stato attuale, non c’è ritorno. Siamo tutti telespettatori calcio-dipendenti.
Basta pensare che le piccole TV locali sopravvivono perchè gli sponsor trovano vantaggioso finanziare trasmissioni nelle quali sei o sette urlatori disadattati questionano sul niente calcistico senza trasmettere un solo fotogramma dello sport di cui dibattono.
Senza calcio chi prova a proporre alternative fatica ad andare avanti. Non puoi avere un palinsesto che non sia calciocentrico, altrimenti chiudi. SportItalia per poter sopravvivere deve trasmettere il calcio argentino, brasiliano, olandese e la serie B inglese. Ripeto, la serie B inglese. Piuttost che nient l’è mej piuttost, dicono dalle mie parti.
Per La7 è rimasta solo la Coppa Uefa, ed è ancora lì che ringrazia l’Udinese.